Man in the plastic era
As strange as it may seem to us now, “rubbish” as we understand it today has not always existed: until very recently, in fact, “waste” was a luxury few people could afford, and it was only after the Second World War (and exclusively in the western world) that rubbish, or waste, really came into existence, with the result that it has become – in transcending its basic material nature – a social and aesthetic category in its own right.
For a number of years, Dario Tironi has been making use of a wide range of recyclable materials to create artwork with a notable impact. His work may be considered part of a well-established artistic tradition that originated with Cubist collage and continues today with Muniz and Schult, whilst also drawing on Schwitters, Cornell, Rodia, Rauschemberg and Arman.
Notwithstanding forms that echo a classical approach, the subject is modern man, portrayed at the precise moment in which – while observing the sharpened stone he holds in his hand, this being the single tool used by our most distant ancestors – he meditates with tragic intensity (however cheerfully post-modern from certain points of view) on the meaning of a humankind preoccupied more and more with what it possesses, and less and less with the most intimate aspects of its own, personal identity.
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Per quanto a noi possa sembrare strano, i “rifiuti” come li intendiamo oggi non sono sempre esistiti: sino a tempi decisamente recenti, infatti, lo “scarto” era un lusso che si potevano permettere in pochi, ed è solo dopo la seconda guerra mondiale ( ed esclusivamente nel mondo occidentale) che i rifiuti hanno cominciato davvero ad esistere, sino addirittura a diventare – superando la loro stessa materialità – anche una vera e propria categoria sociale ed estetica.
Il lavoro di Dario Tironi, che da diversi anni riutilizza i più diversi materiali di scarto per realizzare opere di sicuro impatto, si inserisce nella lunga parabola creativa che ha inizio con il collage cubista e giunge oggi a Muniz e Schult, passando per Schwitters, Cornell, Rodia, Rauschemberg, Arman.
Nono stante le forme classicheggianti, ad essere ritratto è l’uomo contemporaneo, colto nell’istante in cui -osservando la pietra appuntita che porta nella mano, ovvero l’unico utensile utilizzato dai nostri antenati più remoti – riflette con intensità tragica( anche se per certi versi allegramente post-moderna) sul senso di un umanità sempre più preoccupata dagli oggetti che possiede, e sempre meno dalla propria più intima identità.